"Amore e Psiche" é una favola contenuta in più libri dell'opera "Le metamorfosi o L'asino d'oro" di Apuleio.
Tratta di Psiche, la figlia minore di un re, che, a causa della sua straordinaria bellezza, suscita l'invidia di Venere, la quale manda suo figlio Cupido affinché la faccia innamorare dell'uomo più brutto della terra, ma il giovane, vedendola, se ne innamora e la porta con sé in un castello.
Alla fanciulla, che ignora l'identità del dio, é negata la vista dell'amato, pena l'immediata separazione da lui.
Tuttavia, istigata dalle due sorelle invidiose, Psiche non resiste al divieto e con una lampada ad olio in mano, spia Amore mentre dorme.
Questa sua curiosità le fu fatale: una goccia d'olio cadde dalla lampada ustionando il suo amante.
« … colpito, il dio si risveglia; vista tradita la parola a lei affidata, d'improvviso silenzioso si allontana in volo dai baci e dalle braccia della disperata sposa (V, 23) »
Psiche straziata dal dolore di non poter più rivedere il suo amante, tentò più volte il suicidio, ma gli dèi glielo impedirono.
Ella allora iniziò a vagare per diverse città alla ricerca del suo sposo, vendicandosi delle sorelle e cercando di procurarsi la benevolenza degli dèi, dedicando le sue cure a qualunque tempio incontrasse sul suo cammino. Arrivò però al tempio di Venere e a questa si consegnò, sperando di placarne l'ira per il disonore causato al nome del figlio.
Venere per vendicarsi, sottopose Psiche a diverse prove, (che lei riuscì a portare a termine grazie all'aiuto di personaggi terzi), l'ultima delle quali consisteva nello scendere negli inferi e chiedere "un po' di bellezza" alla dea Proserpina.
La scatolina che la ragazza doveva consegnare a Venere però era colma di "sonno profondo"; la ragazza curiosa, la aprì e cadde addormentata.
« "Ecco qua!", esclama. "Che sciocca sono, a portare un dono di divina bellezza senza gustarne neppure un pochetto. Almeno così potrò piacere al mio amante!".
E così detto, apre la scatoletta. Ma dentro non c'era niente, e di bellezza neppur l'ombra. V'era solo un sonno infernale, un sonno davvero degno dello Stige, che, appena libero del coperchio, la assalì: una densa nube gravida di sonno le avvolse le membra e si impadronì di lei, e Psiche cadde a terra proprio sulla via, nel luogo stesso ove avea posato il piede. E così la giovane giacque immobile, in tutto simile a un cadavere sepolto nel sonno della morte.
Frattanto Amore era convalescente e la ferita rimarginata. Egli, non riuscendo più a sopportare la continua mancanza della sua Psiche, fugge via per una finestra che si apriva assai in alto nella camera in cui era rinchiuso. »
Giunse però a soccorrerla Eros, che, guarito dalla ferita e riposatosi a dovere, la risvegliò pungendola con la punta di una sua freccia e, dopo aver rimesso a posto la nuvola soporifera uscita dalla scatola, andò a domandare aiuto a Giove.
Egli, mosso a compassione fa in modo che gli amanti si riuniscano: le divergenze di "ceto" furono colmate quando Psiche bevve ambrosia da una coppa, ottenendo l'immortalità.
Divenuta così una dea, potè sposare finalmente Eros.
Il racconto termina con un grande banchetto di nozze al quale parteciparono tutti gli dèi.
Nacque dalla coppia così formata una figlia, che fu chiamata "Voluttà", ovvero "Piacere".
L'immagine qui riportata rappresenta il gruppo scultoreo realizzato da Antonio Canova tra il 1788 ed il 1793, dal titolo "Amore e Psiche".
Tratta di Psiche, la figlia minore di un re, che, a causa della sua straordinaria bellezza, suscita l'invidia di Venere, la quale manda suo figlio Cupido affinché la faccia innamorare dell'uomo più brutto della terra, ma il giovane, vedendola, se ne innamora e la porta con sé in un castello.
Alla fanciulla, che ignora l'identità del dio, é negata la vista dell'amato, pena l'immediata separazione da lui.
Tuttavia, istigata dalle due sorelle invidiose, Psiche non resiste al divieto e con una lampada ad olio in mano, spia Amore mentre dorme.
Questa sua curiosità le fu fatale: una goccia d'olio cadde dalla lampada ustionando il suo amante.
« … colpito, il dio si risveglia; vista tradita la parola a lei affidata, d'improvviso silenzioso si allontana in volo dai baci e dalle braccia della disperata sposa (V, 23) »
Psiche straziata dal dolore di non poter più rivedere il suo amante, tentò più volte il suicidio, ma gli dèi glielo impedirono.
Ella allora iniziò a vagare per diverse città alla ricerca del suo sposo, vendicandosi delle sorelle e cercando di procurarsi la benevolenza degli dèi, dedicando le sue cure a qualunque tempio incontrasse sul suo cammino. Arrivò però al tempio di Venere e a questa si consegnò, sperando di placarne l'ira per il disonore causato al nome del figlio.
Venere per vendicarsi, sottopose Psiche a diverse prove, (che lei riuscì a portare a termine grazie all'aiuto di personaggi terzi), l'ultima delle quali consisteva nello scendere negli inferi e chiedere "un po' di bellezza" alla dea Proserpina.
La scatolina che la ragazza doveva consegnare a Venere però era colma di "sonno profondo"; la ragazza curiosa, la aprì e cadde addormentata.
« "Ecco qua!", esclama. "Che sciocca sono, a portare un dono di divina bellezza senza gustarne neppure un pochetto. Almeno così potrò piacere al mio amante!".
E così detto, apre la scatoletta. Ma dentro non c'era niente, e di bellezza neppur l'ombra. V'era solo un sonno infernale, un sonno davvero degno dello Stige, che, appena libero del coperchio, la assalì: una densa nube gravida di sonno le avvolse le membra e si impadronì di lei, e Psiche cadde a terra proprio sulla via, nel luogo stesso ove avea posato il piede. E così la giovane giacque immobile, in tutto simile a un cadavere sepolto nel sonno della morte.
Frattanto Amore era convalescente e la ferita rimarginata. Egli, non riuscendo più a sopportare la continua mancanza della sua Psiche, fugge via per una finestra che si apriva assai in alto nella camera in cui era rinchiuso. »
Giunse però a soccorrerla Eros, che, guarito dalla ferita e riposatosi a dovere, la risvegliò pungendola con la punta di una sua freccia e, dopo aver rimesso a posto la nuvola soporifera uscita dalla scatola, andò a domandare aiuto a Giove.
Egli, mosso a compassione fa in modo che gli amanti si riuniscano: le divergenze di "ceto" furono colmate quando Psiche bevve ambrosia da una coppa, ottenendo l'immortalità.
Divenuta così una dea, potè sposare finalmente Eros.
Il racconto termina con un grande banchetto di nozze al quale parteciparono tutti gli dèi.
Nacque dalla coppia così formata una figlia, che fu chiamata "Voluttà", ovvero "Piacere".
L'immagine qui riportata rappresenta il gruppo scultoreo realizzato da Antonio Canova tra il 1788 ed il 1793, dal titolo "Amore e Psiche".